Scopriamo insieme le strategie di sopravvivenza delle api.

Strategie di sopravvivenza delle api: ogni essere vivente mette in atto una propria strategia di sopravvivenza. Ogni specie ha la sua e sarà la selezione naturale a sancirne l’efficacia. 

Strategie di sopravvivenza delle api: prima quella umana.

L’umanità, ad esempio, deve l’attuale supremazia sulle altre specie probabilmente alla sua abilità nel linguaggio e nell’essere capace di condividere le informazioni in modo astratto. Ciò ci ha permesso di mantenere un’organizzazione sociale molto complessa e, di conseguenza, un’espansione demografica senza precedenti. In poche parole possiamo dire che il punto forte della specie umana è la cultura e la capacità di trasmettere informazioni utili alla sopravvivenza della specie non più soltanto a livello genetico e quindi istintivo, ma facendo affidamento ad una trasmissione di informazioni molto più rapido grazie all’uso della parola. Ed infatti il grande problema dell’umanità è sempre stato quello di conservare il suo sapere che diventa, di anno in anno, un fardello sempre più grande da preservare dalla sua possibile perdita. Dalla cultura orale siamo passati a quella scritta. Un grosso aiuto l’ha dato l’invenzione della stampa e, più recentemente, quella della memoria virtuale nei computer. 

Tutte le informazioni che non sono trascritte nel nostro DNA sono aleatorie e a rischio di essere perse. I comportamenti di tutti gli altri esseri viventi, api comprese invece, sono registrate nel loro genoma. Il loro comportamento è quindi più rigido (chi è portatore di informazioni non utili alla sopravvivenza muore - in poche parole la selezione naturale), ma anche più al sicuro da un’accidentale perdita di informazioni. 

Un caso interessante sono le previsioni che l’uomo ha sempre cercato di gestire per immaginarsi il futuro e quindi prendere decisioni più efficaci. Ad esempio le previsioni del tempo. Se sai con precisione cosa ti aspetta nel futuro meteorologico sai anche quando preparare il terreno, quando seminare e quando raccogliere. Ed ecco il proliferare di un una miriade di motti e proverbi che hanno aiutato le popolazioni precedenti alla nostra a fare delle scelte ponderate. Oggi che le previsioni metereologiche funzionano meglio, perché sono affidate all’analisi delle correnti ad alta quota, non sappiamo più nulla delle informazioni ottenute con i mezzi un po’ arcaici di una volta e chissà se davvero veritiere. Cercare di prevedere il futuro è un’altra caratteristica dell’animale uomo che lo ha aiutato a diventare sempre più indipendente dalle condizioni ambientali.

Preferiscono le previsioni o l'abbondanza?

E le api? Fanno le previsioni del tempo? Hanno dei sensori che permettono loro di prevedere cosa riserva il futuro? Probabilmente qualcosa hanno perché delle decisioni sul futuro le prendono, ma solo per quello prossimo. Tutti noi sappiamo che le previsioni del tempo del più competente istituto meteo sono precise fino al terzo giorno. Così sarà probabilmente anche per le api da miele, perché la loro strategia di sopravvivenza non si basa sulle previsioni ma sull’abbondanza. Probabilmente pensano: nell’abbondanza c’è tutto, c’è la risposta ad ogni possibile imprevisto che il futuro riserva. 

L’evidenza più chiara la troviamo nel fatto che questa loro peculiarità ci dà la possibilità di raccogliere il miele senza metterle in pericolo di vita. Certo, solo se gli apicoltori sono assennati e raccolgono quello che loro producono in più per il fatto che amano l’abbondanza. Melius est abundare quam deficere, potrebbe essere il loro motto. 

Chi non è apicoltore oppure lo è da poco tempo, potrebbe pensare che il flusso di nettare (o di melata ) e quindi il raccolto siano costanti per tutta la stagione, leggeri ma continui. Il melario, che in primavera si sovrappone al nido dell’arnia, si riempie così piano piano, giorno per giorno fino al momento della smelatura. Nulla di più falso! Il raccolto è un evento straordinario, le cui variabili in gioco affinché abbia luogo sono incerte. Intanto non tutte le piante danno così tanto nettare da permettere una produzione abbondante di miele. Le fioriture hanno un inizio ed una fine, di solito durano una ventina di giorni. Il nettare non è altro che acqua piovana che le piante succhiano dal terreno e trasformano, con l’aggiunta degli zuccheri della sintesi clorofilliana, nella materia principale per la produzione del miele. Quindi in caso di prolungata siccità possiamo dire addio al raccolto, malgrado le piante fioriscano a più non posso. Stesso problema qualora piovesse o facesse freddo per tutti i giorni della fioritura: le api non potrebbero uscire e allora addio produzione! Poi ci potrebbero essere stati degli attacchi parassitari alle piante utili al raccolto e via discorrendo. Come fa l’ape a prevedere tutti questi eventi? Semplicemente non li prevede, sopperisce a qualsiasi catastrofe con l’abbondanza. 

L’ape raccoglie mediamente così tanto, che potrebbe astenersi dall’accumulare miele l’anno successivo. Quale evento catastrofico immagina per mettere in atto una così estrema contromisura? È su questo timore dell’ape che si inserisce l’apicoltore. 

Ma è su ogni suo comportamento che l’ape mette in azione delle contromisure a dir poco, per l’umano pensiero, sproporzionate e non solo nella raccolta di nettare. Quando l’alveare decide di sciamare le api operaie allevano non meno di venti celle reali. A volte mi è capitato di contarne oltre cinquanta. Eppure gliene servirebbero, calcolato anche il rischio, meno di dieci. Con lo sciame parte di norma la vecchia regina e dopo alcuni giorni, al massimo, prenderanno il via altri due sciami, il secondario e il terziario. Quindi sarebbero sufficienti tre celle reali per le nuove nate, eppure le api vogliono strafare e farne molte di più, non si sa mai... Ecco che questa abbondanza l’apicoltore la può utilizzare per la produzione delle regine e, soprattutto, della pappa reale. 

Quando in estate in azienda inseriamo le trappole per raccogliere il polline, di norma lo facciamo sulla fioritura del castagno perché le api ne possono raccogliere e superare trecento grammi al giorno. Il polline è un alimento primario per la vita delle api perché contiene tutti gli elementi essenziali per la loro vita. Eppure dalle prove che abbiamo condotto dividendo l’apiario in due e apponendo la trappola soltanto alla metà degli alveari abbiamo osservato con stupore che la sottrazione di polline di castagno non interferisce minimamente nella raccolta del miele e, cosa ancora più incredibile, non turba per nulla lo sviluppo della colonia. Con le trappole non facciamo altro che togliere una quantità di polline che le api raccolgono in più rispetto alle loro necessità. 

Ma la faccenda diventa stupefacente se valutiamo la quantità di covata presente nel nido e il numero di api che compongono un alveare. Durante la stagione del raccolto, in un alveare nascono molte più api di quelle che muoiono per cui la popolazione teorica ed effettiva di un alveare non coincidono. Dove vanno a finire tutte le api che nascono in più? Nessuno lo sa, ma esiste un riserva di api che al momento del bisogno (ad esempio un aggressore che attacca l’alveare e uccide molte bottinatrici) può tornare utile. 

Ed ecco che l’apicoltore può fare dei nuclei artificiali senza intaccare, anche in questo caso, la produzione di miele. 

Un altro comportamento incredibile è la gestione del numero dei fuchi, ovvero dei maschi. Riprendendo l’esempio della sciamatura, sappiamo che ogni alveare può avere al massimo la necessità che tre regine della propria stirpe si accoppino con dei maschi di altri alveari. Sappiamo anche che in media ogni regina si accoppia con quindici fuchi, quindi se ogni alveare allevasse un centinaio di fuchi sarebbe più che sufficiente. Ma anche questa volta i fatti ci parlano di un comportamento molto più generoso. Ogni colonia, infatti, in una stagione può allevare oltre 5.000 maschi. Questo comportamento è nell’ottica della selezione della specie. Siccome le regine si accoppiano in volo, saranno solo i maschi più performanti di una abnorme schiera di individui che riusciranno ad accoppiarsi e cedere alle regine il loro patrimonio genetico di grande qualità. 

Questi sono tutti esempi che mostrano come la strategia di sopravvivenza delle api non sia la cultura, che è propria dell’umanità, ma il perseguimento dell’abbondanza. Sì è accertato che le operaie con più esperienza insegnano alle sorelle più giovani delle nozioni utili ad un migliore sviluppo dell’alveare. Sappiamo per certo che comunicano attraverso un linguaggio simbolico, la danza. Ma questi fatti sono poca cosa per erigerci su addirittura la loro strategia di sopravvivenza.

Quindi non dobbiamo stupirci del fatto che, malgrado le consideriamo molto intelligenti, loro non rispondano agli stimoli dell’ambiente così come faremmo noi. Il loro comportamento ha la rigidità propria dell’istinto e per loro è quindi fondamentale l’abbondanza di variabilità comportamentale. Questo perché la moltitudine dei loro comportamenti è trascritta nel DNA e non nella cultura. Dunque l’ulteriore abbondanza di cui l’apicoltore deve tenere ben presente per il successo della propria azienda è quella genetica.

Questa è l’unica che può preservare la loro specie dal decadimento. Ogni selezione troppo spinta elimina comportamenti delle api, solo perché non utili al tornaconto dell’apicoltore sebbene potrebbero esserlo per la sopravvivenza. Se la perseguissimo è come se cancellassimo definitivamente delle informazioni dalla memoria di massa di un computer. L’altro insegnamento utile per l’apicoltore potrebbe essere: mai umanizzare i comportamenti delle api. Non devi pensare: “siccome io farei così anche l’ape, che è un animale intelligente farebbe lo stesso”. Quando un allevatore di bovini deve prendere delle decisioni, potrebbe anche farlo pensando che la mucca si comporti in maniera simile a noi. Sbaglierebbe ma non di tanto perché i bovini sono dei mammiferi che hanno molti tratti in comune con l’uomo. Le api, invece, sono animali totalmente diversi da noi ed anche il loro modo di agire molto spesso lo è. 

Ogni allevamento sostenibile delle api dovrà tenere nella giusta considerazione le sue caratteristiche vitali. Se in ogni suo agire l’apicoltore terrà nel dovuto rispetto la strategia di sopravvivenza delle api, allora i risultati nella sua azienda saranno di sicuro più soddisfacenti. 



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